Storia dell'Italia fascista
La storia
dell'Italia fascista (richiamata
anche con le espressioni ventennio
fascista o
semplicemente ventennio)
comprende quel periodo storico italiano che va dalla presa del potere
di Benito
Mussolini,
datata 30
ottobre 1922,
sino alla fine della sua dittatura,
avvenuta il 25
luglio 1943.
Per
estensione, solitamente a questa definizione si fa riferire tutto il
periodo della storia
d'Italia che
va dalla fine della prima
guerra mondiale sino
al termine della seconda
guerra mondiale[senza
fonte] o,
più diffusamente, il ventennio 1925-1945,
poiché nel 1925 furono
dichiarati illegali tutti i partiti tranne il Partito
Nazionale Fascista (PNF)
e nel 1945 si
dissolse la Repubblica
Sociale Italiana (RSI).
Il primo dopoguerra
All'indomani
della Grande
Guerra l'Italia
si trovò in una situazione economica, politica e sociale precaria e
difficile. Il drammatico conto presentato dalla guerra in termini di
perdite umane fu pesantissimo, con oltre 650.000 caduti e circa un
milione e mezzo tra mutilati, feriti e dispersi, senza contare le
distruzioni occorse nel Nord-Est del Paese, divenuto fronte bellico,
con il dislocamento e, sovente, la perdita della casa di ogni bene da
parte di centinaia di migliaia di profughi che erano fuggite dalle
loro case trovatesi nel mezzo di assalti e bombardamenti.
Il
sorgere del Regno
di Jugoslavia alle
frontiere orientali pose una pesante e decisiva pietra tombale sui
sogni di riunificazione
nazionale italiana,
con l'acquisizione dei territori promessi ed inclusi nel Patto
di Londra:
gli altri Alleati si erano appoggiati alle proposte del
presidente USA Woodrow
Wilsonper
assegnare al Regno di Jugoslavia stesso (in slavo SHS,
Srbija-Hrvatska-Slovenija) la Dalmazia, Fiume (che
secondo il trattato del 1915 sarebbe
dovuto restare all'Austria-Ungheria o,
in subordine, ad un piccolo Stato croato) e l'Istria Orientale.
La città di Fiume - dal canto suo - aveva espresso fin dagli ultimi
fuochi della guerra la volontà di essere riunita all'Italia, ponendo
così il governo
di Roma nell'imbarazzo
di dover accettare i voti della cittadinanza fiumana e
contemporaneamente entrare in urto con Francia, Gran
Bretagna, Stati
Uniti d'America e
- ovviamente - Regno jugoslavo. Infine, nonostante la fine delle
ostilità con gli Imperi
centrali,
l'Italia restava coinvolta nella guerra
in Albania,
dai contorni incerti e dagli obiettivi ancora più incerti, mentre
il Montenegro,
stato vincitore della guerra e col quale l'Italia per motivi
dinastici e strategici intratteneva rapporti privilegiati, veniva
annesso alla Jugoslavia con il consenso delle altre potenze alleate,
ciò che venne recepito come un'altra grave ferita alla politica
adriatica italiana.
Alla
situazione politica internazionale difficile, faceva da contraltare
una situazione economica interna drammatica: l'Italia dipendeva in
gran parte dalle importazioni oltremare di grano e carbone ed aveva
contratto pesantissimi debiti con gli Stati Uniti. Le casse statali
erano quasi vuote anche perché la lira durante
il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, con un costo
della vita aumentato di almeno il 450%.
Alla
mancanza di materie prime, faceva anche seguito la progressiva
smobilitazione del Regio
Esercito (dopo
averne impiegato una grandissima parte come manodopera per le
immediate necessità del dopoguerra e nel primo raccolto del 1919)
e la fine della produzione bellica, che implicava una riconversione
delle fabbriche. La mancanza di un solido mercato interno e la crisi
di quelli esteri impediva - tuttavia - che la produzione potesse
trovare sfogo, e di conseguenza molte manifatture semplicemente
chiusero.
In
breve, inoltre, l'Italia si trovò ad affrontare il problema
dell'assorbimento di centinaia di migliaia di disoccupati
dell'industria di guerra e di milioni di soldati smobilitati. Molte
delle promesse fatte durante la guerra a costoro (come
l'espropriazione di terre ai latifondisti e la loro distribuzione in
lotti ai reduci di guerra) non furono rispettate, provocando
malcontento e delusione. L'attrito fra le masse di ex combattenti e
quelle operaie si delineò immediatamente, con l'accusa nei confronti
dei secondi di essersi "imboscati" e nei primi di essere
stati "servi della guerra borghese".
In
un primo momento ciò provocò un'importante crescita di partiti e
movimenti di sinistra, in particolar modo del Partito
Socialista Italiano,
la cui componente minoritaria rivoluzionaria era galvanizzata dal
successo della Rivoluzione
russa.
La fine della guerra, delle restrizioni politiche e della censura
permise di riprendere le attività propagandistiche e sindacali. A
destra, invece, le formazioni nazionaliste ed interventiste si
scatenavano nella contestazione del governo e dei trattati di pace,
mentre attorno ai circoli dannunziani nasceva
la locuzione "Vittoria
mutilata",
che sarebbe divenuta la parola d'ordine degli insoddisfatti.
Lo
Stato si venne quindi a trovare sotto un triplice attacco:
dall'estero, con l'evidente tentativo delle potenze alleate di
ridimensionare la portata della vittoria e delle rivendicazioni
italiane a vantaggio del Regno di Jugoslavia. Dalle formazioni
socialiste e sindacali, che iniziarono una campagna
para-rivoluzionaria, soprattutto attraverso una durissima campagna di
scioperi. Dalle formazioni nazionaliste, la cui campagna denigratoria
verso l'azione del governo sarebbe poi culminata
nel settembre 1919 con
l'Impresa
di Fiume.
A
risentire di questa instabilità fu soprattutto l'ordine pubblico,
con l'acuirsi del radicalismo e della violenza, l'urto fra le
compagini socialiste e internazionaliste (compresse durante gli anni
del conflitto ed ora libere di agire nuovamente) e quelle
nazionaliste ed interventiste.
Nella
foto Mussolini sul Carso
Nascita del fascismo
Dagli
strati sociali più scontenti e soggetti alle suggestioni della
propaganda nazionalista che, a seguito dei trattati di pace, si
infiammò ed alimentò il mito della Vittoria
mutilata,
emersero organizzazioni di reduci e, in particolare, quelle che
raccoglievano gli ex-arditi.
Quest'ultime, riconosciute subito dai comandi militari come fonte di
turbolenza politica, furono sciolte e i membri congedati, restituendo
alla vita civile decine di migliaia di ex soldati agguerriti e
portatori di un'ideologia aggressiva, violenta e gerarchizzante. Fra
costoro, e fra gli altri congedati al malcontento generalizzato, si
faceva largo un risentimento causato dal non aver ottenuto un
adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del
pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte e per le
offese subite dai militanti socialisti, giunte fino alla bastonatura
degli ufficiali in uniforme e all'insulto nei confronti dei decorati
che ostentassero le medaglie. Come numerosi storici hanno fatto
notare (ad esempio Federico
Chabod)
è poi soprattutto dalla piccola borghesia, in particolare quella
rurale, che il primitivo fascismo attinge i suoi militanti. Questo
strato sociale - tendenzialmente costretto in Italia da un
proletariato industriale ed agricolo più o meno organizzato e
rappresentato da partiti di massa (PSI e popolari) e sindacati e
l'alta borghesia, protagonista ed egemone dell'Italia del periodo
liberale - con la guerra aveva acquisito un ruolo fondamentale,
fornendo alle Forze Armate il nerbo degliufficiali
di complemento.
In qualche misura, a fronte dunque delle altre classi sociali, già
organizzate o rappresentate, la piccola borghesia nel dopoguerra si
trovò priva di referenti e minacciata di essere riportata ad un
ruolo di secondo piano, minacciata com'era dal basso dalle agitazioni
socialiste e, dall'alto, dal grande capitalismo che prometteva di
assorbirne mercati e risorse.
La
frustrazione per questa situazione fu terreno fertile per la
fondazione il 23
marzo 1919 a Milano del
primo fascio
di combattimento,
adottando simboli che sino ad allora avevano contraddistinto
gli arditi,
come le camicie nere e il teschio.
FOTO
2 Mussolini direttore dell'Avanti
Biennio rosso, Fiumanesimo e "Rivoluzione fascista"
Nel
movimento fascista, oltre ad arditi, futuristi, nazionalisti,
sindacalisti rivoluzionari ed ex combattenti d'ogni arma confluirono
successivamente anche elementi di dubbia moralità ed avventurieri.
Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate squadre
d'azione si
scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale
socialista Avanti!,
devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini
come trofeo. Nel giro di qualche mese i Fasci si diffusero in tutta
Italia, sebbene con una consistenza assai scarsa.
Il 23
giugno 1919
si insediò il governo di Francesco
Saverio Nitti,
sostituendo il dimissionario Vittorio Emanuele Orlando, dopo le
delusioni seguite ai trattati di pace. Le politiche intraprese da
Nitti sollevarono un fortissimo malcontento, soprattutto fra
militari, reduci congedati e nazionalisti.
Il 19
settembre 1919, Gabriele
d'Annunzio ruppe
gli indugi e alla testa di reparti ammutinati del Regio Esercito
marciò su Fiume dove,manu
militari,
instaurò un governo rivoluzionario con l'obiettivo di affermare
l'unione all'Italia del comune carnero. Questa azione fu
immediatamente esaltata dal movimento fascista, anche se Mussolini
non offrì - né avrebbe potuto offrire - alcun reale appoggio alla
causa dei legionari.
Il 16
novembre del 1919,
le elezioni (per
la prima volta secondo il sistema proporzionale) videro il trionfo
dei due partiti di massa: il Partito
Socialista che
si affermò primo partito con il 32% dei voti e 156 seggi e il
neonato Partito
Popolare di don
Sturzo che,
alla sua prima prova elettorale ottenne il 20% dei voti e 100 seggi.
Il movimento fascista, presentatosi nel solo collegio di Milano,
con una lista capeggiata da Mussolini e Marinetti,
raccolse meno di 5.000 suffragi sui circa 370.000 espressi, non
riuscendo a eleggere alcun rappresentante.
In
seguito alla durissima sconfitta elettorale, Mussolini meditò
seriamente l'abbandono della politica,[3] nonostante
la sbandierata esistenza di 88 Fasci
combattenti con
20.000 iscritti; cifra che alcuni storici ritengono viziata da
eccessivo ottimismo. In ogni caso, sul Popolo
d'Italia del 23
marzo 1929,
il segretario del PNF Augusto
Turati,
affermò che al 31
dicembre 1919
i Fasci in Italia erano 31 con solo 870 iscritti.
I
risultati elettorali non garantirono al paese la stabilità
necessaria e il PSI, che aveva il maggior peso, continuò a rifiutare
alleanze con i partiti "borghesi". L'iniziativa politica
dunque rimase nelle mani dei movimenti sindacali rappresentati dalle
leghe socialiste e popolari che lanciarono una escalation di
scioperi e occupazioni, storicamente nota come "Biennio
rosso",
culminata nell'estate del 1920 in una occupazione generalizzata di
terreni agricoli, opifici e installazioni industriali in quasi tutto
il Paese, con esperimenti di autogestione, autoproduzione e la
creazione di consigli di fabbrica sul modello dei soviet.
In
particolare le occupazioni di terreni agricoli convinsero
molti latifondisti,
principalmente in Emilia,
nell'alta Toscana e
nella bassa Lombardia,
a svendere cascine e fattorie a ex-mezzadri, fattori o piccoli
coltivatori diretti. Fu questa la nuova categoria di proprietari
terrieri, ben più decisa a difendere i propri beni dalle occupazioni
rispetto ai precedenti latifondisti, alla quale Mussolini si rivolse
per dare consistenza al movimento fascista, sposandone appieno le
necessità.
Così,
mentre i socialisti erano dilaniati dalle diatribe interne e dalla
concorrenza sindacale delle leghe bianche dei Popolari sturziani,
schiere di appartenenti alla piccola borghesia agraria, artigiana o
del commercio, allarmati dalle occupazioni e dai disordini,
confluirono nel movimento guidato da Mussolini. In pochi mesi si
costituirono in Italia oltre 800 nuovi Fasci, con circa 250.000
iscritti, i quali diedero vita alle squadre
d'azione,
dette spregiativamente "squadracce" dagli avversari
politici, che contrastarono le leghe rosse e bianche, durante gli
scioperi o le azioni di occupazione, in un diffuso clima di violenza
politica.
Tra
le squadre fasciste dell'Italia meridionale militavano anche alcuni
delinquenti. Particolarmente a Napoli,
dove la centralista organizzazione camorristica ottocentesca stava
attraversando un fase di anarchia, alcuni camorristi si dettero anima
e corpo alla causa fascista, intravedendo la possibilità di carriera
e di cancellazione dei reati precedenti. Ad esempio, come nel caso di
Guido Scaletti, piccolo camorrista dei Quartieri
Spagnoli,
che fondò il primo sindacato padronale partenopeo, o di Enrico Forte
che per i suoi servigi di squadrista fu ricompensato, nel 1924,
con la direzione della "Manifattura Tabacchi". Un tempo
preso il potere, il fascismo, abilmente usò i camorristi per
controllare e reprimere l'attività di delinquenza comune, in cambio
dispensando piccole cariche pubbliche, posti di lavoro e,
soprattutto, tollerando il contrabbando. L'attività
di Polizia e Carabinieri venne
intensificata e diretta verso i malavitosi che non collaboravano con
il regime. Nella zona di Aversa,
dove si era formata una struttura camorristica potente e concorrente
a quella napoletana, nel 1927 le
forze dell'ordine operarono la maggiore retata anticamorra della
storia, con 4.000 arrestati.
La
direzione velleitaria e confusa delle occupazioni, che aveva mostrato
l'incapacità delle forze politiche più radicali a sviluppare una
reale e progressiva azione rivoluzionaria, fu immediatamente chiara a
molti politici, in particolar modo a Gramsci e a
Giolitti, subentrato
al secondo governo Nitti.
Nel
settembre 1920 Giolitti riuscì a spezzare il fronte occupazionista,
attraverso la concessione di limitati progressi salariali, ottenendo
il ritorno della legalità. Stabilita una temporanea pace sociale
interna, affrontò la questione di Fiume, deciso a risolvere il
problema internazionale della Reggenza del Carnaro. Dopo serrate
trattative fra Italia, Iugoslavia e D'Annunzio, Giolitti diede il via
all'azione militare, volta a sgomberare con la forza i legionari dal
comune carnero, culminata con Natale
di sangue del
1920.
La
componente militare largamente prevalente nelle squadre conferì a
queste una netta superiorità negli scontri coi socialisti, i
popolari e i sindacati non fascisti, che ben presto - sebbene
notevolmente più numerosi - subirono l'urto delle camicie nere. La
sistematica campagna fascista di distruzione dei centri di
aggregazione socialista, popolare e sindacale di intimidazione e
aggressione dei loro militanti - assieme alla contemporanea politica
sotterranea condotta da Mussolini nei confronti dei partiti moderati
e della destra - portarono il socialismo ad una crisi, mentre
parallelamente cresceva la forza numerica e il morale dei Fasci di
Combattimento. Così, mentre nel 1921 il Partito
Socialista Italiano si
disgregava in due successive scissioni, dando vita alPartito
Comunista d'Italia),
il 7
novembre 1921 nasceva
il Partito
Nazionale Fascista (PNF),
trasformando il movimento in partito, abbandonando le posizioni del
sindacalismo rivoluzionario, accettando alcuni compromessi legalitari
e costituzionali con le forze moderate e distaccandosi
sostanzialmente dalla linea politica fondativa del movimento, sancita
nel Programma
di San Sepolcro del 1919.
In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel
momento di massima espansione il PSI aveva
superato di poco i 200.000 iscritti).
Dal
punto di vista organizzativo, al "gruppo di Milano" -
nucleo originario del Fascismo - si aggiunse una componente rurale e
agraria, forte dell'appoggio dei latifondisti e possidenti
terrieri emiliani,pugliesi e toscani.
Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ras furono
più determinate a colpire i sindacalisti, i popolari e i
social-comunisti, e le masse rurali organizzate che avanzavano
rivendicazioni sociali, politiche ed economiche, intimidendoli con la
famigerata pratica del manganello e
dell'olio
di ricino,
o addirittura commettendo omicidi che
restavano a volte impuniti. In
questo clima di violenze, alle elezioni
del 15 maggio 1921 i
fascisti riuscirono a portare in parlamento i loro primi deputati,
fra cui Mussolini.
La
celebrità del partito crebbe ancora quando i sindacati non fascisti
proclamarono per il 1º
agosto 1922 uno sciopero generale
come ritorsione per degli scontri avvenuti a Ravenna:
i fascisti per ordine di Mussolini sostituirono gli scioperanti, con
pessimi risultati produttivi, nel tentatitivo di far fallire la
protesta. Sempre nell'agosto del 1922 gli abitanti di Parma,
con epicentro nel quartiere popolare di Oltretorrente,
organizzati dagli Arditi
del Popolo,
comandati da Guido
Picelli e Antonio
Cieri riuscirono
fieramente a resistere alle squadre fasciste guidate da Italo
Balbo,
futuro "trasvolatore atlantico". Fu dell'ultima resistenza
all'incalzare del fascismo.
Propaganda fascista: a sinistra la legenda: Le malefatte del bolscevismo nel 1919, a destra Le cose ben fatte del fascismo nel 1923
Nessun commento:
Posta un commento