lunedì 29 aprile 2013



La battaglia
di Natale web counter



L'avanzata rapidissima del CSIR sulle pianure ucraine, aveva portato le nostre truppe, fra l'agosto e il novembre 1941, al completo controllo dell'importantissimo bacino del Donetz. Il 2 novembre la vittoriosa battaglia era coronata dalla presa di Rykovo e di Gorlowka: due centri industriali di rilievo che erano stati accanitamente difesi dai sovietici. Il ciclo operativo era stato assai duro, per le nostre truppe, che avevano dovuto operare in condizioni assai difficili per le disastrose condizioni del terreno (che rendeva talvolta impossibile utilizzare gli autocarri), per il logorio dei mezzi, per la stanchezza dei soldati i quali in tre mesi non avevano mai sostato e non avevano mai avuto avvicendamenti. Ma il CSIR, inquadrato nella Panzer Armee del maresciallo von Kleist ricevette l'ordine di avanzare ancora, per facilitare la manovra di un corpo d'armata tedesco che tentava, di accerchiare Rostov. La battaglia riprese furiosa ed ebbe per epicentro la zona illustrata nella cartina.


Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, che era stato aggregato alla « Panzer Armee » di von Kleist, della quale fu spesso la punta avanzata, si trovò allineato, all'inizio del precoce inverno del 1941, nel bacino del Donetz appena conquistato. La fase offensiva poteva ormai considerarsi conclusa e non soltanto per la rigidezza del clima che impediva azioni a vasto raggio e di largo respiro ma anche perchè le truppe dell'Asse davano ormai, anche su questo fronte, evidenti segni di stanchezza. I successi ottenuti nella campagna estiva e autunnale erano stati brillanti, con centinaia e centinaia di chilometri di avanzata, migliaia di prigionieri e un ingente bottino di materiale bellico. Ma anche i sacrifici erano stati grandi. Le nostre perdite (e quelle germaniche), pur inferiori a quelle russe, potevano considerarsi sensibili. Gravissimo, poi, era stato il logorio del materiale, specialmente di quello motorizzato, che pur essendo ottimo, era assolutamente inadatto ad un terreno come quello russo. Nei giganteschi acquitrini della steppa, trasformata dalle piogge in un mare di fango, i nostri pesanti autocarri erano stati spesso impossibilitati a muoversi. Si impantanavano anche i trattori, anche i cavalli e i muli. Vi fu, anzi un momento in cui i reggimenti di cavalleria dovettero essere ritirati per non rischiare la perdita totale dei quadrupedi. La situazione, poi, peggiorò al cadere dell'inverno. Infatti, se le piste finalmente consolidate dal gelo resero possibile un più intenso traffico di rifornimenti, mille altri gravissimi disagi caddero sui nostri soldati. Alla metà di novembre ad esempio, il termometro era già sceso a venti-venticinque gradi sotto zero. Nei, giorni di Natale scese ulteriormente fino a stabilizzarsi fra i trenta gradi sotto zero durante il giorno e i trentacinque durante la notte. A queste temperature, inconsuete anche nell'inverno russo, ogni più piccolo spostamento costava fatiche inenarrabili; ogni problema si complicava, ogni situazione si faceva difficile. Il rancio gelava nelle casse di cottura. Il vino doveva essere distribuito in blocchi, come se si trattasse di formaggio e poi sgelato sulla fiamma. Toccare l'acciaio di un'arma significava rischiare il congelamento. Un turno di guardia non poteva superare la mezz'ora. Muoversi sulla neve senza le racchette o gli sci, diventava un'impresa. Perfino l'olio anticongelante delle armi automatache si rapprendeva. Non parliamo della benzina e dell'olio degli autocarri, i cui motori dovevano stare quasi sempre in movimento perchè altrimenti sarebbe stato quasi impossibile farli ripartire, col rischio che l'acqua gelata spaccasse il radiatore. Questa era la situazione ambientale in cui il CSIR si apprestò a passare l'inverno in prima linea, di fronte a importanti formazioni avversarie che, per l'affluire di truppe fresche, particolarmente addestrate per lottare sulla neve, s'andavano ogni giorno rafforzando. I nostri bravi soldati, però, non si scoraggiarono. Nelle battaglie dell'estate e di autunno avevano preso confidenza col nemico, s'erano abituati a vincere. Conoscevano la propria forza. Cosi, invece di attendere passivamente l'attacco avversario, che appariva inevitabile e imminente, le truppe del CSM, anche su suggerimento dei comandi tedeschi, provvidero ad assestarsi sulle loro posizioni, in modo da trovarsi, al momento opportuno, nelle condizioni tatticamente più favorevoli alla resistenza e all'eventuale controffensiva. Le operazioni di rettifica e di raccorciamento del fronte furono sviluppate dal CSIR durante i mesi di novembre e di dicembre. Non si trattò di combattimenti locali ma di vere e proprie battaglie, durante le quali, per la presa di alcune modeste località, le nostre truppe si scontrarono con formazioni nemiche grandemente superiori per numero. Particolarmente eroica fu la vicenda del 80° Fanteria, che a Nikitowka rimase isolato per vari giorni resistendo impavido al forte attacco di un'intera divisione sovietica. Durissima, anche la battaglia di Chazepetowka avvenuta il 15 dicembre durante la quale la Divisione « Torino » investita da reparti scelti sovietici, appartenenti all'NKVD, seppe raggiungere le posizioni assegnatele dai comandi superiori e a stroncare le velleità avversarie. Verso la metà di dicembre queste operazioni di assestamento, tendenti tutte alla conquista dei centri abitati, indispensabili per consentire alle truppe di svernare in condizioni relativamente confortevoli, nonché a saggiare la consistenza dello schieramento nemico, erano concluse. Ma la calma non tornò sul fronte. I sovietici, infatti, avevano ammassato sul fronte delle nostre divisioni (la « Pasubio », la « Torino » e la « Celere ») ben cinque divisioni, su tre reggimenti ciascuna. Uno schieramento formidabile che dimostrava come il comando sovietico avesse scelto proprio il settore tenuto dagli italiani per tentare lo sfonda mento delle linee dell'Asse già sanguinosamente fallito in altri punti del fronte. L'attacco sovietico venne all'alba del giorno di Natale. Forse, scegliendo proprio quella mattina per iniziare l'offensiva, i comunisti pensavano di sorprendere i nostri. Ma si sbagliavano. La osservazione aerea tedesca e le nostre pattuglie in ricognizione avevano rilevato importanti movimenti di truppe che non potevano essere se non i segni premonitori di un'offensiva. E cosi, nella notte della Vigilia, i nostri fanti, le Camicie Nere della « Tagliamento », i bersaglieri, gli artiglieri e i cavalleggeri avevano vegliato in armi. Quando i sovietici attaccarono, concentrando il loro sforzo sul settore tenuto dalla « Celere », ebbero una degna accoglienza. Malgrado la loro eccezionale superiorità numerica, dovettero arrestarsi per ore ed ore dinnanzi alle posizioni di prima linea, tenacemente difese, soprattutto dai bersaglieri e dalle camicie nere. E quando alcuni nostri presidi, per sfuggire all'accerchiamento o per aver esaurito le munizioni, ripiegarono su posizioni più arretrate, già i nostri comandi avevano potuto provvedere alle necessarie contromisure. La sera del 25 dicembre, infatti, gli italiani erano già al contrattacco, prima ancora che giungessero i rinforzi di carri armati tedeschi. Il giorno dopo solo tre caposaldi delle nostre linee erano ancora occupati dai sovietici. Il 28 dicembre, una massiccia controffensiva ricacciava definitivamente i sovietici da tutte le posizioni conquistate con tanto dispendio di mezzi e di uomini e permetteva anzi alle nostre truppe di avanzare ulteriormente. La battaglia di Natale era vinta. I sovietici, malgrado la loro superiorità, malgrado la loro conoscenza del terreno, malgrado la loro confidenza al clima micidiale dell'inverno russo, non erano, riusciti a passare. Non avevano potuto cioè sbaragliare quegli splendidi reparti del CSIR che la loro propaganda aveva dipinto come composti da «soldati freddolosi » e « poco combattivi ». Una menzogna che aveva avuto sul campo di battaglia la migliore delle risposte.

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